note critiche

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Felice Laudadio

Una lettura delle manifestazioni pittoriche degli ultimi anni evidenzia, tra le altre, la tendenza ad un ritorno alla figurazione, all'utilizzazione del colore e degli strumenti tradizionali. Ritorna, in una parola, l'uomo al centro dello spazio pittorico, non in senso accademico, o novecentesco, ma rivisitato anche attraverso un uso del colore e della forma affatto personali e, come dire "contaminati" dagli esiti dei nuovi germogli creativi che hanno attraversato, o presenti attualmente sulla scena artistica.

Questa tendenza non nasce da una volontà di ritornare al naturalistico al veristico o al prospettico, ma piuttosto essa ha origine da un rinnovato interesse per la materia, per l'osservazione introspettiva, e dal fascino che il "raccontare", dopo tanti sperimentalismi o rifiuti del "fatto a mano", esercita su questi artisti.

Davanti alle immagini che Daniela Tesi propone, si ha l'impressione di trovarsi dinanzi ad un "invito al racconto", dove personaggi, animali, oggetti sono "animati" dall'occhio dello spettatore. Questi soggetti, spesso collocati in instabili ed improbabili posizioni, vogliono suggerirci la precarietà del racconto stesso, la sua modificabilità, sono sempre al posto di "altro": simboli o metafore, ironicamente interpretati, come a neutralizzare la negatività del mondo attuale, pur facendola intuire. E' come aprire una porta ed entrare in un mondo poetico e personalissimo dove mitologia, fiaba, poesia e realtà s’intrecciano e si confondono trovando un nuovo ordine espressivo…….

Francesco Butturini

La ricerca artistica di Daniela Tesi appartiene per un verso al Novecento, e per un altro lo supera decisamente: coniuga in sé le due spinte vive e presenti nella realtà del nostro secolo, la ricerca dei simboli (metafore, allegorie, contrasti, figure in anamorfosi, spaesamenti surrealisti) e la ricerca della pittura; e risponde a quelle due necessità che sono state definite, appunto, del quadro in sé e della pittura in sé.
 

E' una pittura, quella di Daniela Tesi, dalle apparenze d'immediata godibilità, con un residuo di costante, sottile, curiosità offerta dal racconto sempre sul filo dell'evocativo simbolico-narrativo, e dalla sostanza di preziosa miniera cromatica e tonale. Credo, infatti, che un quadro vada sempre affrontato e risolto, prima d'ogni altra operazione, per quello che è: un quadro. Ecco i colori vivaci, squillanti, aggressivi, ma non stridenti, di questa pittrice che ha sicuramente amato, e certamente ama, Rousseau e Chagall, e certamente apprezza la ricerca del Pop Nord-Americano e di quello che la critica ha consacrato come Internazionale (da Tom Wasselman e Richard Lindner, da Mel Ramos a Patrick Caulfield).
 

Quadri che sono una sapiente elaborazione pittorica, prima d'ogni altra operazione. In questo, infatti, rispondono pienamente alle esigenze di qualsiasi pittore che si ponga davanti ad una tela bianca. In più, e siamo sempre nel Novecento, Daniela Tesi gode con finezza tutta femminile, del sorriso, tra l'ambiguo e il faceto, per le tante possibili allusioni, per i sottintesi, maliziosi, ma non maligni, per le "sorrise parolette brevi" che gorgogliano dalle sue fantolone e dalle streghette, dai cantimbanchi, dalle sirene, e sirenette, dalle medusine, e divinità, dai diversi agli homines di positura differente.


Non può non venire in mente Magritte, ma è opportuno cacciarlo subito dalla finestra (o dalla porta) sapendo che rientrerà spesso a frequentare la fantasia della pittrice: ma come un solletico che diviene abitudine, quasi un riflesso inconscio. Non mi sembra, infatti, che si possa correttamente parlare di surrealismo. Oppure, se ne può parlare come se ne può parlare per tutta la pittura fiamminga e nordica in generale del XVI e XVII secolo. C'è anche, infatti, questa vena di narrativa dell'assurdo e dell'irreale a far sostanza nella ricerca di Tesi.
 

Ma ancora non basta, perché c'è qualcosa d'altro, che va oltre il gusto fumettistico Pop, va oltre l'ironia birichina del gioco dei contrasti e delle allusioni, va oltre lo stesso racconto: è, a mio avviso, un recupero. Un recupero, forse ancora in sordina, ancora non pienamente sviluppato. Ed è questo recupero che porta di forza la pittura di Daniela Tesi fuori del Novecento per farne pittura presente, di questo nostro presente pittorico che ha tagliato i ponti col passato novecentista e ottocentista, per ricollegarsi ai grandi filoni che un tempo dicevamo classici. Un recupero che non si realizza, tuttavia, usando gli stessi linguaggi (come avviene per i pittori della schiera di Giuseppe Gatt), che sente desueti, ma le stesse forme si. E' dunque un recupero delle forme quello che fa della pittura di quest'artista un progetto futuribile sostenibile ed un prodotto piacevole e ricco insieme d'interesse. Ecco le forme del nudo femminile e del ritratto, le forme della coppia umana e della coppia umana/belluina, e poi anche la forma stessa del quadro con il recupero frequente dell'ovale dentro il quadro e lo sviluppo costante di una prospettiva architettonica misurata ed evidenziata secondo gli schemi più comuni dell'Umanesimo classico.
 

Se gli accostamenti cromatici fanno venire in mente quadri e tessuti di Depero e tutto un filone di ricerca futurista (e siamo agli inizi del nostro secolo), il risultato lo cancella decisamente (e siamo fuori del nostro secolo) …………….

Mirella Ruggeri

Quella della Tesi sembrerebbe un’arte facile, godibile, giocosa, immaginifica: i suoi dipinti, infatti, colpiscono per la grazia, il gusto cromatico, l’originalità, le figure fantastiche, il tratto elegante e sicuro. E’ vero che questi elementi indicano che siamo in presenza di una vera artista, ma un osservatore attento si accorge ben presto che siamo di fronte a lavori ben più complessi e ricchi culturalmente di quanto non appaiano ad una prima e veloce lettura. Ricorre infatti, in questi dipinti un anticonformismo velato di fantasia, una modalità intenzionalmente paradossale di costruzione pittorica.
L’artista ascolta il libero fluire dei sentimenti che poi rielabora in chiave ironica, onirica, fantastica, seguendo libere associazioni di idee, contrasti, analogie, simbolismi.
L’immaginazione porta la pittrice ad una unità profonda con l’universo e tutte le sue creature, oltre la dimensione del razionale; così la sua arte, apparentemente semplice, diventa rivoluzionaria ed esplosiva forza del subconscio che riemerge dalle profondità dell’animo in cui è relegato e si espande in immagini e colori. Importanti, nei suoi dipinti, sono i titoli: evocativi e ricchi di suggestioni, ed importante è anche notare come ricorrano figure di bambole e marionette, animali e strumenti musicali, maschere, funamboli e danzatori, favole e miti rivisitati con ironia, paesaggi geometrici frantumati nella luce vivida e calda, elementi naturalistici come la luna, il sole, il mare, i cieli notturni o diurni, ma sempre “mossi” da un vento che pare scomporre gli oggetti pittorici per dar loro un nuovo ordine, un ordine fuori dalla realtà.
Sono simboli, allegorie moderne di un’autrice colta, con un’esperienza figurativa che si riallaccia ai romantici, ai simbolisti, ai surrealisti, ai visionari, mi viene in mente Redon, Moreau .
La ricca vita interiore porta l’artista verso una realtà senza condizionamenti, libera, assoluta, superiore: “surrealtà” appunto.
Ciò le consente di esplorare, e di rappresentare visivamente sulle sue tele, il mondo dei sogni, dei desideri, troppo spesso soffocato e sepolto dalla razionalità, da regole e tabù imposti dal mondo esterno.
Ugo Perugini

Osservare i quadri di Daniela Tesi significa lasciarsi andare a scoperte straordinarie che implicano l’accettazione di un patto sottinteso ma ferreo con l’artista, cioè la necessità di munirsi di uno speciale passaporto favolistico per entrare nel suo mondo e scoprire sentieri inconsueti e arcane realtà. E per farlo occorre la massima delicatezza, tanto fragile ed etereo appare questo mondo. Bisogna camminarvi in punta di piedi, con il timore, quasi, di rompere, ad ogni istante, l’incantesimo che l’artista crea intorno a noi con le sue immagini. E, così facendo, dobbiamo lasciar fuori tutti i nostri armamentari ingombranti, fatti di pregiudizi e malizie terrene. Quello che subito ci coglie sono i colori, traslucidi e quasi lattescenti, specie nei corpi e nei volti; i contorni morbidi, delicati, soffusi dei personaggi e degli oggetti che si situano in questo palcoscenico onirico dove proporzioni e prospettive obbediscono ad esigenze evocative e simboliche fuori dalle regole e dalla storia. E’ un ambiente che mescola, senza forzature apparenti, richiami orientaleggianti, paesaggi medioevali e contemporaneità di sapienza pittorica. In questo mondo vaporoso si finisce per respirare atmosfere eteree di sognante ed evanescente calma. Anche il vento che scompiglia i capelli e le vesti lo fa nel rispetto di canoni estetici di equilibrio. E sembra più che altro un effluvio ben direzionato di profumi provenienti da chissà dove. Anche al registro dell’ironia che pure, in molti casi si nota, l’artista ricorre con sottile e controllata discrezione. Tutte le “trovate “ hanno una logica intrinseca che le guida, una filosofia sottesa, un messaggio di pace e ottimismo meno astratto di quanto si potrebbe arguire a prima vista. Le tele di Daniela sanno parlare al nostro cuore nel linguaggio che esso percepisce chiaramente. Ed è, a mio avviso, il cuore che deve esserne il giudice privilegiato, prima ancora che gli occhi. Quegli occhi che l’artista rappresenta con originalità come fessure rettangolari, quasi incapaci di adeguarsi alla rotondità delle pupille, aperti al mondo, sul mondo, attenti a captare ciò che, spesso, sfugge ai nostri sguardi frettolosi.